Gli sprechi alimentari degli italiani in un'indagine Nielsen
In Italia, oltre 12 miliardi di euro in cibo vengono sprecati ogni anno, anche dagli stessi consumatori. È davvero possibile recuperarlo?
È un'Italia sprecona e indifferente quella che emerge dall’indagine "Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità", portata avanti dalla Fondazione per la Sussidiarietà e dal Politecnico di Milano in collaborazione con l'istituto Nielsen Italia. Stando ai dati riportati nell'indagine, infatti, nel nostro Paese si sprecherebbe cibo per oltre dodici miliardi di euro l'anno: 12,3 miliardi, per la precisione, di cui una parte considerevole (6,9 miliardi) viene sprecata dagli stessi consumatori. Facendo un rapido calcolo, si tratta di 42 kg di cibo a persona. Un numero che fa impressione, soprattutto se si pensa che si tratta per lo più di avanzi, cibi scaduti oppure lasciati andare a male, nonché alimenti non graditi, magari comprati per puro sfizio. In soldoni, i 42 kg di cibo pro-capite si traducono in 117 euro di cibo sprecato a testa. Fortunatamente, però, negli ultimi anni si è data grande importanza al riciclo e al recupero di questi alimenti; grazie a numerose iniziative promosse, oggi un miliardo di euro in cibo viene recuperato, ma non è abbastanza. Ancora molto occorre fare per recuperare anche gli altri sei miliardi di cibo e alimenti che così non solo non verranno sprecati, ma svolgeranno anche un ruolo prezioso: quello di sfamare chi invece purtroppo non ha abbastanza cibo con cui sfamarsi. Tuttavia è importante interrogarsi sui motivi che determinano un simile fenomeno: perché si tende ad accumulare cibo che in realtà non ci serve, tant'è che finisce per essere lasciato marcire o fatto scadere? Gli esperti ritengono che alla base di questo meccanismo controproducente vi sia un sostanziale "disallineamento tra domanda e offerta e la non conformità del prodotto a standard di mercato". In altre parole, non solo domanda e offerta non coincidono, ma quest'ultima spesso segue criteri standardizzati che non corrispondono alle reali esigenze dei consumatori. Inoltre, se è vero che parte del cibo viene recuperato, è anche vero che solo una minima parte di questi alimenti recuperati viene riutilizzata per il consumo umano. Eppure, sostiene Alessandro Perego, che insegna logistica presso il Politecnico di Milano e che è uno dei responsabili dell'indagine in questione, non sarebbe così difficile incentivare un simile utilizzo. "Quasi il 50% delle eccedenze generate nella filiera agroalimentare" afferma Perego, "è recuperabile per l’alimentazione umana con relativa facilità, se lo si vuole realmente fare". Per far sì che ciò avvenga, è indispensabile che le istituzioni, i consumatori e i responsabili della filiera agroalimentare collaborino attivamente con le varie realtà no-profit, come per esempio il Banco Alimentare, che si occupano concretamente di recuperare il cibo che andrebbe sprecato per soddisfare i bisogni alimentari delle persone che vivono sotto la soglia di povertà e che dunque non sono in grado di alimentarsi sufficientemente.
Insomma, volere è potere: ma siamo davvero sicuri che vi sia una sensibilizzazione tale al problema dello spreco alimentare da fare in modo che tutti - in primis i consumatori - collaborino affinché questo fenomeno venga arginato?
Pubblicata il 28/05/2016
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